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Third Text - magazine on critical perspectives on contemporary art & culture

Iolanda Pensa e Irene Amodei

Abstract (English)

"Third Text" is a magazine devoted to art and cultural criticism. "Third Text" was created in 1987 in London by artist and intellectual Rasheed Araeen and it can be considered its most visionary art work.

 

Abstract (italiano)

"Third Text" è un bimestrale di critica, dedicata all’universo dell’arte e della cultura visuale (arti visive, scultura, installazioni, performance, fotografia, video e film). La rivista è stata fondata dall'artista e intellettuale Rasheed Araeen e può essere considerata la sua opera più visionaria.

1 La pratica

1.1 Struttura e fasi del progetto

La rivista “Third Text: Critical Perspectives on Contemporary Art” nasce a Londra nel 1987 come continuazione ideale della rivista "Black Phoenix" creata sempre da Rasheed Araeen e Mahnood Jamalnel 1978.
Un numero particolarmente rilevante è il Il numero 23 “Africa Special Issue”, curato da Olu Oguibe e pubblicato nell'estate del 1993. Lo speciale presenta testi di Olu Oguibe, Rhoda Rosen, Ulli Beier, Everlyn Nicodemus, El Anatsui, Valerie Cassel, Pitika Ntuli, Odia Ofeimun, John Picton, David Koloane, Gavin Jantjes, Abdul M Simone, David Hecht e un'intervista a Ibrahim El Salahi.
La rivista è giunta al suo 14 anno e al 56 esimo numero.

1.2 Sede e contesto

La rivista nasce a Londra alla fine degli anni Ottanta, collocandosi all'interno del dibattito internazionale animato dagli studi post-coloniali, ma caratterizzandosi per una posizione diversa (vedi Metodologia).
La biografia di Rasheed Araeen può essere osservata come un ulteriore contesto della rivista.

1.3 Target

"Third Text" è destinata ad un pubblico internazionale di intellettuali. La rivista dà largo spazio alle voci "escluse" della cultura, ospitando approfondimenti, dibattiti e, spesso, critiche feroci.

1.4 Metodologia

"Third Text" prende in esame (per smantellarlo) il contesto teorico e storico con il quale l’Occidente legittima ed esercita il suo «diritto alla storia» (Olu Oguibe), la sua posizione di arbitro supremo e inappellabile, unico giudice cui spetti il compito di stabilire ciò che è significativo e ciò che non lo è, in campo artistico. Il giornale è un forum di discussione di alto livello. È scritto interamente in inglese. Il testo prevale nettamente sull’immagine, spesso in bianco e nero. L’impaginazione è delle più classiche.
Nel primo editoriale, Why Third Text?, il suo fondatore descrive l’operazione come «uno slittamento dal centro della cultura dominante alla sua periferia», un cambio di prospettiva necessario per poter guardare al centro, ovvero alla cultura occidentale, in piena paralisi intellettuale, con spirito critico. Tentando un bilancio, nella primavera del 2000, Araeen descrive il network, la piattaforma globale che si è sviluppata intorno a Third Text e al suo progetto militante contro lo status quo accademico e «l’eclettismo del pensiero neo-liberale», non mancando di lamentare la cronicità di finanziamenti a singhiozzo, l’iniziale mancanza di personale qualificato e ammettendo debolezze e difetti.
Il numero 79 volume 20 di marzo 2006, curato da Nancy Jachec e Reuben Fowkes, prende spunto dal convegno “1956: Legacies of Political Change in Art and Visual Culture” (Settembre 2004, Oxford Brookes University) per riflettere sulla produzione e disseminazione dell’arte, nell’Europa bipartita degli anni Cinquanta: la nascita del concettualismo, il tramonto dell’arte ufficiale, l’invenzione dell’«arte est-europea», i condizionamenti e i pregiudizi. Il numero si chiude con un saggio di Araeen che denuncia l’estradizione degli afro-asiatici dal sistema dell’arte britannico all’inizio degli anni Sessanta. «Il lavoro degli artisti afro-asiatici in Occidente è considerato poco più di una curiosità, che non merita neanche una nota a piè pagina nella storia dell’arte occidentale del XX secolo», afferma Brian Sewell. «La benevolenza con la quale si tende a guardare adesso alla generazione degli artisti afro-asiatici, promuovendone l’esotismo e la mediocrità quali segni distintivi di una supposta ‘diversità culturale’ non è che una maschera dietro la quale si nasconde una sostanziale incapacità e non-volontà di mettere nell’angolo un razzismo istituzionale».

I contenuti e l'approccio di "Third Text" sono inseparabili dallo sguardo di Rasheed Araeen, tanto che è possibile considerare e analizzare la rivista come un'opera d'arte dello stesso artista e intellettuale.
In tutta la sua produzione Araeen segnala un’assenza: condanna un’esclusione deliberatamente operata dall’establishment britannico a danno degli artisti non inglesi. Artisti africani, asiatici e caraibici sono stati condannati all’oblio, sono stati «soppressi dalla storia». Nessuno pare disposto a riconoscere il fatto che molti di loro abbiano partecipato alla costruzione e alla critica dell’attuale scena artistica e che alcuni siano stati addirittura figure centrali nella nascita del modernismo o dell’avanguardismo.
Araeen predica una radicale decostruzione, revisione e ridefinizione della storia dell’arte moderna, una rilettura che riempia i silenzi ed eviti i facili esotismi e le ormai più che istituzionalizzate derive multi-culturali o post-coloniali, che lui liquida come appropriazioni edulcorate, ideologiche e strumentali, deformate da una costruzione dell’Altro che risponde ad una percezione monolaterale e predeterminata e ad una altrettanto unilaterale e predeterminata valutazione. «Molti artisti afro-asiatici sono oggi intrappolati in questo spazio istituzionalizzato, esclusivamente riservato, soprattutto visto che è l’unico spazio che è messo loro a disposizione per esprimere se stessi e realizzare le loro ambizioni». E ancora: «Non ho niente contro le pratiche artistiche multi o inter-culturali, ammesso che siano il risultato delle esperienze estetiche degli artisti stessi o dei loro incontri con il mondo e non delimitino invece la loro libertà di azione entro uno spazio controllato e istituzionalmente definito».
L’artista di cui Araeen si fa cantore soggiace, a suo dire, a una specie di contratto implicito: riceve cioè uno spazio di manovra solo se accetta di farsi portatore della cultura cui lui o i suoi genitori originariamente appartengono. In pratica sarà considerato autentico solo se deciderà di esprimere ciò che i teorici del post-colonialismo culturale chiamano in-between space, ovvero uno spazio artificialmente costruito come spazio della «differenza culturale». Mentre il lavoro dell’artista bianco è legittimato anche (e soprattutto) quando segna una rottura  rispetto alla cultura e alla società di appartenenza, il lavoro dell’artista nero deve continuamente rimandare alla sua presunta culla di origine; mentre il primo non deve portare segni identificativi, il secondo è in qualche modo obbligato a essere sempre riconoscibile e definibile come alterità. Laddove una società culturalmente plurale è definibile, per Araeen, solo come «una società  in cui tutte le differenti componenti culturali sono considerate uguali, non necessariamente dal punto di vista quantitativo, ma concettualmente, sì da comporre un unicum eterogeneo che, per definizione, esclude la nozione stessa di maggioranza e minoranza culturale».

Cfr. Re-thinking History and Some Other Things, TT, n. 54, 2001, p. 95.
Ibid., p. 97.
Naseed Khan, The Arts Ignores: The Arts of Ethnic Minorities in Britain, commissionato e pubblicato dall’Arts Council of Great Britain, Calaste Foundation e dalla Community Relations Commission, London 1979.
Cfr. Re-thinking History and Some Other Things, TT, n. 54, 2001, p. 98.

1.5 Autori, collaborazioni, finanziamenti e network

Pubblicata da Kala Press, a Londra, fino al 2002, "Third Text" nel 2003 passa a Routledge Journals Taylor & Francis, on behalf of Black Umbrella con il finanziamento dell’Arts Council of England.
Direttori (Editors): Rasheed Araeen e Ziauddin Sardar. Direttore associato (Associate Editor): Nicola Gray e, in seguito, Richard Appignanesi; Direttori aggiunti (Assistant Editors): Richard Dyer e, in seguito, anche Adele Tan; comitato editoriale: Jorella Andrews, David A. Bailey, Annie Coombes, Haifa Hammami, Julian Stallabrass, Merryl Wyn Davies.
Membri del comitato scientifico: Rustom Bharucha, Guy Brett, Iain Chambers, David Crafen, Sean Cubitt, Denis Ekpo, Ihab Hassan, Nancy Jachec, Geeta Kapur, Vinay Lal, Tabish Khair, Ian McLean, Laura Mulvey, Gerardo Mosquera, Olu Oguibe, Benita Parry, Howardena Pindell, Gene Ray, Colin Richards, John Roberts, Gayatri Spivak, Judith Wilson, Stephen Wright e Slavoj Zizek.

"Third Text" è a tutti gli effetti una creatura di Rasheed Araeen, poliedrico artista e intellettuale.

Nato a Karachi, nell’attuale Pakistan, nel 1935, Rasheed Araeen è artista, scrittore e ingegnere civile.
Negli anni Cinquanta incomincia a interessarsi di arte moderna e architettura fino a farne la sua professione. Nel 1959, ha l’idea di creare delle sculture bruciando materiali e fondendo oggetti. Nel 1964 si trasferisce a Londra dove, sotto l’influenza dello scultore modernista Anthony Caro, scopre la scultura minimalista, prediligendo griglie d’acciaio e strutture in lattice.
Viene a contatto con il minimalismo americano nel 1968 grazie a una lettera della donna che poi diventerà sua moglie, che gli parla di Sol LeWitt (allora esposto a Parigi in Art of Ten Real). La mostra arriva a Londra nel 1969. Frustrato, incompreso e snobbato dall’establishment artistico inglese, Araeen abbandona per un po’ l’arte, votandosi alla politica. Nel 1972 si unisce alle Black Panters e in seguito lavora con David Medalla alla costituzione di una Lega di artisti a sostegno della lotta anti-imperialista nel mondo e in particolare contro la guerra in Vietnam.
Nel 1975 comincia a scrivere, scandagliando i condizionamenti, i pregiudizi, le fobie e le discriminazioni razziali dei quali il panorama artistico occidentale, e inglese in particolare, continua a nutrirsi. «In questo periodo realizzai l’assenza eclatante di artisti come Francio Souza, Avinash Chandra e Aubrey Williams dal panorama artistico ufficiale (…) Non c’era museo o galleria che li esponesse». Influenzato dagli scritti di Franz Fanon, Amilcar Cabral, Paulo Friere e Ho Chi Minh, e ormai convinto della necessità di scardinare un sistema colpevolmente lacunoso, inizia a stendere «Preliminary Notes for a Black Manifesto», che terminerà alla fine del 1976 e pubblicherà nel 1978 su Studio International (ora nel libro Making Myself Visibile, Kala Press, London 1984). Il testo diventa la base teorica di tutte le sue attività successive. In occasione dell’esposizione annuale alla Hayward Gallery, quell’anno dedicata a quattro artiste donne, presenta No liberal sympathies, please! Nello scritto si dice al contempo intrigato e disturbato dal fatto che, ancora una volta e malgrado l’evento, non siano presenti artisti di colore.
Nel 1978 fonda, insieme a Mahnood Jamal, la rivista d’arte «Black Phoenix». Tre numeri in tutto, ma con firme di rilievo: da Eduardo Galeano a Ariel Dorfman, da Kenneth Coutt-Smith a Ngugi wa Thiong’o, da David Medalla a Guy Brett. La rivista chiude per mancanza di fondi, ma nel 1987 Araeen ritenta il colpo dando vita a «Third Text: Third World Perspectives on Contemporary Art & Culture».
Nel 1982, con il sostegno economico della Greater London Arts Association e del Greater London Council,  crea Project MRB: Art Education in Multiracial Britain, il primo archivio di artisti afro-asiatici, che nel 1984 diventa Black Umbrella. Black Umbrella promuove ricerche per arricchire la sua banca-dati e sviluppa nuove idee per esibizioni, pubblicazioni e produzioni di varia natura, dai video a scopo educativo, all’organizzazione di conferenze, seminari e workshops dedicati alla fotografia e alla serigrafia «Il proposito era istituire un centro di ricerca, che contribuisse a creare e custodire una corretta memoria storica, base essenziale della lotta contro le discriminazioni razziali e culturali degli artisti ». Sono gli anni in cui, in seguito alle suggestioni di Naseem Khan, nasce il Minority Arts Advisory Service (MAAS), il cui scopo è compilare un registro nazionale degli «artisti etnici» presenti e attivi in Inghilterra. Araeen viene invitato a collaborare, ma rifiuta: «Non accettai. Sarebbe stato degradante, uno schiaffo in faccia ad artisti che mai si sarebbero considerati etnici». L’Arts Council, da parte sua, delegittima l’iniziativa Black Umbrella, affermando di non condividerne lo spirito in quanto il progetto è troppo focalizzato sugli afro-asiatici e non prende in considerazione le altre minoranze presenti sul suolo britannico, come polacchi, greci, ucraini…
Nel 1989 Araeen cura l’esposizione The Other Story alla Hayward Gallery di Londra, riesame e riscrittura della storia dell’arte in Gran Bretagna dal dopo-guerra a oggi. L’intento è includere tutti gli artisti che, pur non essendo di origine inglese, hanno dato un importante contributo  alla storia dell’arte moderna.
Tra le mostre collettive Rasheed Araeen ha partecipato a Magiciens de la Terre del 1989 e alla Biennale di Johannesburg del 1997 con un progetto indipendente.
Artista poliedrico, pittore, scultore, creatore di installazioni e fotografo, nel 1995 ha ricevuto l’Honorary Doctorate of Letters (PhD) dall’University of Southampton e nel 1997 l’Honorary Doctorate of Arts (PhD) dall’University of East London.
Nel 1999 negli Stati Uniti e nel 2001 nel mondo, ha brevettato un oggetto di sua invenzione, una scultura galleggiante che è anche uno sport acquatico.
Conferenziere onnipresente, ha tenuto lezioni in Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Olanda, Germania, Belgio, Austria. Molte sono state tradotte e pubblicate in giro per il mondo.
 

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