percorsi interculturali
in Europa

en it fr es cz

Provaci ancora, Sam!

Silvio Remotti

1 In pratica

2 Spunti di riflessione

2.1 Punti di forza

La prospettiva dell'organizzazione
Uno dei maggior punti di forza del progetto "PAS" – stando a quanto riferisce Barbara Rivoira – è quello di essere stato concepito e realizzato “dal basso”: da chi quotidianamente viveva un bisogno. Un esigenza non ipotetica o astratta, ma del tutto concreta. In generale – continua Rivoira - i progetti di intervento sociale sembrano mostrare maggior efficacia, nonché possibilità di ulteriori sviluppi, quando nascono dai chi possiede e ben conosce il problema.

Come abbiamo visto, "PAS" nacque in una scuola del quartiere Vanchiglia di Torino, una delle zone più problematiche della città. L’idea originaria era quella di contrastare la dispersione scolastica e i fenomeni di bullismo che ad essa sovente si affiancano. La nascita di quella che veniva definita dai ragazzi del rione “la scuoletta”, spinse il Comune (Servizi Educativi e Servizi Sociali) a interessarsi in modo più sistematico ai fenomeni del drop out scolastico. Nel corso degli anni – dal 1989 ad oggi – sono cambiati molti elementi in seno al "PAS": non esiste più una semplice scuoletta di quartiere, esiste un progetto cittadino estremamente capillare, con svariati soggetti (pubblici e privati) in campo. Anche l’utenza del "PAS" è mutata: se all’inizio i destinatari erano quasi esclusivamente ragazzi italiani, oggi l’89% degli alunni inseriti nei C.T.P. è di origine straniera. Il gruppo di lavoro che ruota attorno al progetto, ormai da cinque anni, lavora attivamente sull’inserimento scolastico dei minori immigrati. Un inserimento – come ricorda Rivoira – che inevitabilmente passa attraverso più elementi: l’alfabetizzazione in italiano L2 in primis, ma anche la regolarizzazione, la socializzazione, l’utilizzo della risorse cittadine, la conoscenza della cultura italiana. È corretto ricordare a tal proposito, che "le scuole piemontesi, con valori nettamente al di sopra del dato nazionale, hanno accolto nell’a.s. 2003/04 un totale di 29.546 allievi stranieri. L’essere di fronte a un fenomeno in crescita e diffuso territorialmente è ormai una consapevolezza diffusa, soprattutto in ambito scolastico. Gli inserimenti scolastici dei minori immigrati richiedono alla scuola non solo un’adeguata formazione del corpo docente, ma anche – e soprattutto – concreti progetti di accoglienza e di integrazione" (Caritas/Migrantes – Immigrazione Dossier Statistico 2005).

Il "PAS" – con i suoi due moduli Prevenzione e Recupero – può oggi costituire uno strumento per contrastare alcune problematicità che incontrano i minori stranieri: quelle scolastiche (molti di loro giungono in Italia poco alfabetizzati o del tutto analfabeti) e quelle socio-relazionali (evidenti soprattutto per i “non accompagnati”). I due aspetti – come afferma Carla Bonino – non vanno affatto disgiunti, anzi: le difficoltà di adattamento relazionale e culturale si traducono spesso in insuccesso scolastico e in comportamenti di apatia e/o ribellione. Il "PAS" – per sua stessa tradizione - lavora sia sull’ambito scolastico, sia su quello extrascolastico. Questa duplice azione risulta ancor più importante nei confronti di un ragazzo di origine straniera: poco inserito nel contesto sociale, scarsamente alfabetizzato in italiano L2 e con scarso profitto scolastico, può diventare un soggetto a forte rischio dispersione. E da qui, quasi a catena, dare inizio a percorsi di vero e proprio droping out e di bullismo.

Un altro importante punto di forza del "PAS", individuato da Barbara Rivoira, è quello di essersi da sempre caratterizzato come "ricerca-azione". Il progetto si è andato via via negli anni modificando, rimettendo costantemente in discussione metodologie e approcci didattici. C’è, ovviamente, una struttura di base che offre a tutte le professionalità impiegate uno schema di lavoro comune e condivisibile nelle diverse realtà scolastiche. Ma a fianco a ciò, esiste un continuo studio – da parte di insegnanti, Servizi Educativi, Sociali, volontari delle associazioni – per tradurre in concrete azioni i nuovi input, le nuove esigenze. Grazie a questo approccio “flessibile” al progetto, nel corso dei suoi diciassette anni di attuazione, si sono potute sperimentare diverse linee metodologiche e diversi interventi con i ragazzi.
Realizzare un progetto così eterogeneo, per tipologia di soggetti coinvolti, ha richiesto – come fa notare Rivoira – un incessante confronto e dialogo tra le diverse realtà interessate al "PAS": le scuole medie inferiori, i Servizi del Comune, i C.T.P., l’associazionismo. Quest’ultima realtà in particolare, è considerata – nella prospettiva dell’organizzazione – il vero e principale punto di forza dell’intero "PAS". E’ l’associazione – attraverso il lavoro dei suoi volontari, i peer educators - l’anello forte del progetto. Soggetti come l’ASAI (Associazione Animazione Interculturale) rivestono, sotto questo aspetto, un triplice e decisivo ruolo:

  • sostengono, attraverso la presenza dei peer educators, i ragazzi nell’attività didattica motivandoli e rimotivandoli nei momenti di difficoltà;
  • offrono attività che puntino sull’aspetto emotivo e sociale (attività connesse al rafforzamento dell’autostima, allo sviluppo delle capacità di relazionarsi in modo adeguato agli altri, alla capacità di orientarsi sul territorio, alla creatività, etc.) ma che rappresentino anche un contributo per il percorso orientativo in quanto occasione per sperimentare abilità necessarie per lo svolgimento di determinate attività;
  • danno l’opportunità ai volontari che nel corso degli anni si succedono, di vivere un’esperienza di crescita umana e formativa in una struttura pubblica. E ciò significa educare generazioni all’impegno civile e alla solidarietà.


L’intervento delle associazioni consente anche di mantenere i contatti con i ragazzi che hanno terminato l’anno di intervento "PAS": i volontari infatti, hanno anche il compito di monitorare i successivi percorsi (scolastici o lavorativi) intrapresi e di verificarne l’andamento.
L’ambizione del progetto – nelle parole di Rivoira – è quella di "proporsi come un percorso alternativo alla scuola ordinaria": il lavoro sulle scuole di seconda opportunità, ha permesso al "PAS" di divenire, negli anni, una voce autorevole nel panorama dell’istruzione pubblica. Il progetto – prosegue Barbara Rivoira - "può essere interpretato come una “provocazione”, una “denuncia”": da un lato si vuole dimostrare che la scuola ufficiale – così come impostata oggi – non sembra rispondere alle esigenze di tutti i ragazzi, dall’altro lato legittimare l’efficacia di soluzioni “altre”, che nel tempo hanno portato a risultati tangibili. Le strategie d’intervento maturate nel "PAS" possono tradursi in validi strumenti metodologici da affiancare alla scuola istituzionale (l’azione preventiva di contrasto alla dispersione, le modalità d’inserimento dei minori stranieri, il coinvolgimento di soggetti appartenenti al mondo extrascolastico). "In tutto questo “multi” di cui oggi si parla, dovrebbe esistere – afferma Barbara Rivoira – una scuola “altra” in cui il ragazzo che ha fallito possa trovare un suo riconoscimento, una seconda chance. E se la scuola è “per tutti”, diventa allora necessario riconoscere – a livello ministeriale – anche un modello educativo-scolastico differente".

Altre città italiane stanno seguendo progetti di intervento sociale simili, in linea con quanto proposto dal "PAS": Progetto Chance (Napoli), Icaro… ma non troppo (Verona e Reggio Emilia), La scuola della seconda opportunità (Roma), Progetto Ponte (Trento). Un segno questo, che conferma quanto anche altre realtà, siano attive nella progettazione di interventi sociali da affiancare all’istituzione scolastica.
Il progetto "PAS" – grazie ai suoi diciassette anni di attività – è diventato oggi un interlocutore del Ministero dell’Istruzione. L’obiettivo futuro – conclude Barbara Rivoira – è quello di "uscire dall’ottica del “progetto” e divenire un’organizzazione parallela alla scuola, riconosciuta istituzionalmente, con una propria normativa, con un proprio specifico personale".


La prospettiva di Interculture Map
Un primo evidente punto di forza che il progetto presenta è, senza dubbio, la continuità temporale: nato nel 1989 (chiamato all’epoca “Recupero terza media”) il "PAS" è riuscito a riconfermarsi con successo fino a oggi. Il segreto di tale longevità riteniamo essere la capacità degli organizzatori di rinnovare – in modo flessibile – le metodologie pedagogiche, le modalità di intervento sui ragazzi, i rapporti con il territorio. E’ fondamentale infatti – soprattutto per quanto concerne i progetti di intervento sociale – assumere il carattere di “ricerca-azione”. Una caratteristica questa, che permette l’analisi di eventuali nuovi input (si pensi per esempio al recente lavoro sui minori stranieri) e la sperimentazione di percorsi didattici e strategie d’azione alternativi. Esiste ovviamente uno zoccolo duro, un quadro di riferimento su cui implementare le modifiche. Esso – altro rilevante punto di forza del progetto – è rappresentato dall'interpretazione che il "PAS" dà al fenomeno della dispersione scolastica. È questo, un concetto – come ricordava Carla Bonino – che deve necessariamente basarsi su un’accezione olistica, multidimensionale. La dispersione, infatti, presenta cause che non riguardano solo – e semplicemente – il mondo della scuola, ma anche "i luoghi di vita", la socializzazione del ragazzo. Sotto questa prospettiva le difficoltà di adattamento relazionale e culturale, che sovente si manifestano in sentimenti di isolamento, inadeguatezza e disorientamento, possono – tra le altre cose – portare al fallimento degli obiettivi scolastici.


Il "PAS" – attraverso le azioni di prevenzione e recupero – può allora rappresentare una strategia per avvicinare (e migliorare) i due mondi: la vita scolastica e la vita relazionale. L’anello di congiunzione tra le due realtà – elemento davvero centrale dell’intero progetto – è l’intervento di un soggetto extrascolastico all’interno della realtà scolastica. Le associazioni del territorio coinvolte nel progetto (il "PAS" 2005/06 ne contava ventidue) intervengono laddove la scuola sembra deficitaria: lavorano sugli aspetti psicologico-relazionali (motivazione e rimotivazione dei ragazzi, attività aggregative), offrono l’opportunità di utilizzare in modo consapevole e positivo il territorio, affiancano la scuola con interventi di doposcuola e integrazione didattica. Questa sinergia tra scuola ed extrascuola palesa l’indispensabilità del lavoro e dall'azione in rete. Un elemento questo, vitale per un progetto come il "PAS": tutti i soggetti coinvolti – se accettiamo che la dispersione scolastica sia causata da più fattori – risultano ugualmente importanti e funzionali: dalla Scuola ai Servizi Educativi, dall’associazionismo ai Servizi Sociali. La rete permette, infatti, di affrontare il fenomeno nella sua globalità ed eterogeneità: gli aspetti formativi, educativi, relazionali.
Negli ultimi cinque anni il progetto "PAS" ha dedicato una particolare attenzione all’inserimento scolastico dei ragazzi stranieri (i “non accompagnati”, la “generazione 1.5”). Le statistiche confermano che ad oggi il progetto sia prevalentemente orientato – soprattutto per quanto riguarda la realtà dei C.T.P. – all’integrazione – non solo scolastica – dei minori stranieri. Si tratta di soggetti che mostrano delle problematiche più specifiche rispetto ai ragazzi italiani: la scarsa conoscenza dell’italiano L2, ad esempio, oltre a tradursi in iter scolastici scadenti, può generare forte isolamento ed esclusione sociale. Fattori questi, che in alcuni casi, danno luogo a percorsi di devianza e bullismo. Sotto quest’ottica, il "PAS" può risultare un’iniziativa importante per aiutare i ragazzi stranieri a sviluppare reali percorsi di integrazione nel nuovo paese.


Il Dossier Statistico 2005 della Caritas/Migrantes afferma, in relazione al minore straniero, che "la maggior parte delle iniziative si concentrano sostanzialmente nei due ambiti dell’emergenza e del sostegno scolastico, lasciando scoperta l’intera area dell’extrascuola, del tempo libero, dell’aggregazione informale tra coetanei, dello scambio e dell’incontro interculturale. Sono ancora scarse le occasioni di ritrovo e di svago a disposizione dei giovani extracomunitari, a cui sono destinate troppo spesso iniziative calate dall’alto, orientate quasi esclusivamente al recupero dello svantaggio scolastico". Il "PAS" – come abbiamo più volte sottolineato – non è un progetto di semplice sostegno scolastico: la componente “extrascuola” – come confermano le parole di Carla Bonino – risulta fondamentale, complementare a quella didattica. Soprattutto per i ragazzi stranieri. Una riprova di questo orientamento è l’ormai consolidato coinvolgimento nel "PAS" di associazioni di dichiarato stampo interculturale. Tra le altre ricordiamo: ASAI, Vides Main, Centrocampo, Millepiedi, Terra del fuoco.

Accanto al sostegno scolastico e alle attività extrascolastiche, il progetto svolge un’altra importante operazione: l’orientamento scolastico e lavorativo. Nel corso dell’anno il "PAS" offre ai ragazzi occasioni per riflettere e scegliere – grazie a un orientatore e ai peer educators – quali percorsi formativi o lavorativi intraprendere al termine della scuola media. Gli incontri – in genere a carattere informale – consistono in momenti informativi, colloqui individuali o a piccoli gruppi, test attitudinali, visite guidate presso i centri di formazione professionale. L’obiettivo generale – specialmente per i ragazzi stranieri – è quello di favorire un inserimento lavorativo il più rapido possibile, viste le condizioni di vita spesso precarie in cui si trovano. L’orientamento permette, inoltre, di incentivare e stimolare le capacità progettuali del singolo ragazzo.
Nei diciassette anni di attività del "PAS" si sono succeduti decine e decine di giovani volontari ed educatori delle associazioni: i peer educators rivestono un ruolo centrale nell’avvicinare il mondo dei ragazzi del "PAS" a quello degli adulti e per aiutare l’istituzione scolastica a interagire con adolescenti problematici. Il progetto – fin dalla sua nascita – ha fornito loro un’occasione per rendersi socialmente utili e per comprendere alcune problematiche delle nostre società.

La prospettiva dell'organizzazione
Un primo elemento di criticità che riscontra Barbara Rivoira è la difficoltà ad incidere concretamente sull'apparato istituzionale. Proporre alle istituzioni scolastiche l’adozione di metodologie d’intervento – già largamente sperimentate con successo – si rivela ogni anno sempre problematico. Accanto a ciò, vi è una anche persistente difficoltà nel gestire il lavoro di rete: uno dei punti di forza del "PAS" è proprio il coinvolgimento di soggetti molto diversi per finalità e vocazioni; ciò chiaramente, comporta l’elaborazione di un linguaggio strategico comune. Ma non sempre – come è del resto comprensibile – si riesce ad ottenere una condivisione totale degli obiettivi che si desiderano raggiungere. E tale problematicità si verifica su più livelli: all’interno delle singole scuole, tra scuole e Servizi, tra Servizi e associazionismo, ecc.
Se poi si esce dalla realtà torinese – continua Rivoira –, risulta ancor più complesso costruire una rete che coinvolga i progetti realizzati anche in altre città italiane. L’isolamento che patiscono progetti come il "PAS" si traduce conseguentemente in una scarsa incisività sulla sfera istituzionale.

Altro aspetto problematico è quello legato specificatamente all’inserimento scolastico dei minori stranieri. Seppure su scala nazionale Torino sia considerata una realtà all’avanguardia negli interventi a favore della popolazione migrante, ad oggi – stando alle considerazioni di Rivoira – risulta ancora "debole la competenza degli insegnanti e dei Servizi rispetto alle problematiche dei ragazzi stranieri. Si evidenzia ancora una certa inesperienza, in alcuni casi immaturità. Esiste per esempio, – soprattutto all’interno del corpo docente – un diffuso stereotipo che porta a pensare che ci voglia una sorta di “formula magica” per lavorare con gli stranieri. Spesso quello che in realtà si rivela più utile è il recupero della nostra umanità, degli aspetti comuni a tutti gli uomini e donne: i bisogni fondamentali, le storie di vita che tutti accomunano. Lo stesso pretendere una continua formazione specifica – proprio perché si lavora a contatto con alunni non italiani – può inconsciamente significare una fuga dalle nostre paure. Il pregiudizio che più ci condiziona è il tipico non so come si fa: loro sono stranieri e io non ho le competenze per…".

Un terzo elemento di debolezza del progetto – imputabile tuttavia alle normative nazionali vigenti in materia di immigrazione – è quello legato al riconoscimento e/o equipollenza dei titoli di studio. È una questione che ha un forte peso tra la popolazione migrante: sono assai frequenti i casi di quei ragazzi che – pur avendo ricevuto una buona scolarizzazione nel paese d’origine (soprattutto per quanti provengono dell’est europeo) – non vedono riconosciuti in Italia il loro iter di studi. Il "PAS" non può intervenire in alcun modo sulla questione, la quale – ovviamente – è di competenza del Ministero dell’Istruzione Pubblica.

Un ultimo aspetto, assolutamente delicato – ma finora del tutto ignorato dal "PAS" – è quello legato alle problematiche future delle “seconde generazioni”. Ecco la riflessione di Barbara Rivoira: "all’interno del progetto "PAS" manca – ad oggi – l’attenzione rivolta ai “nati qui”. È necessario preparaci ad approfondire concretamente le situazioni dei figli di quegli stranieri “sconfitti”: di chi, cioè, arrivato in Italia per dare un futuro migliore alla sua famiglia, ha visto morire il proprio sogno. In un domani prossimo saranno probabilmente in tanti. Ma sui figli di queste persone nessuno ancora si interroga. Nessuno si prepara ad agire nei confronti dei ragazzi nati in Italia da genitori che hanno fallito nel loro progetto migratorio. E avendo fallito loro, ai figli avranno davvero poco da offrire. È un elemento questo molto critico. Che un giorno potrebbe diventare esplosivo. Come recentemente le banlieu parigine hanno mostrato".


La prospettiva di Interculture Map
La maggior criticità che ci sentiamo di segnalare è la difficoltà di mettersi in rete con progetti similari elaborati in altre realtà nazionali. Se l’obiettivo implicito del "PAS" – come affermava Barbara Rivoira - è quello di presentare all’istituzione scolastica un modello di “scuola altra”, allora risulta assolutamente indispensabile creare un network. O perlomeno, dei tavoli di confronto tra i referenti di diversi progetti per elaborare strategie e piani di intervento comuni. Ciò significherebbe fornire ai progetti come il "PAS" o come quelli ideati a Roma, Napoli, Verona, Reggio Emilia un maggior peso specifico. L’isolamento, infatti, si traduce in debolezza e spesso purtroppo, in scarsa credibilità a livello istituzionale. Sembra esistere – afferma Rivoira – una certa ritrosia nel mettersi in contatto anche con altre realtà italiane. E tutto ciò può tradursi in un handicap di tipo politico (la proposta di una scuola “altra”) e di tipo metodologico (può risultare importante un confronto nazionale – meglio se internazionale - per migliorarsi ulteriormente).

Un altro punto di debolezza: il "PAS" da cinque anni segue in prevalenza i minori stranieri. In generale, il corpo docente – seppur ben preparato nella gestione di ragazzi problematici, per quanto riguarda soprattutto la realtà dei C.T.P. – non appare ancora sufficientemente maturo per affrontare con serenità un gruppo di adolescenti stranieri: sembra avvertirne una sorta di “timore reverenziale”. L’ansia del “loro sono stranieri”. E allora ci si appella, con frequenza, ai momenti di formazione e di aggiornamento. Come faceva notare Rivoira, quello che manca alle scuole del "PAS", è l’esperienza: il lavoro con i minori stranieri del resto è ancora – tutto sommato – recente. E qualche anno di rodaggio appare in realtà comprensibile.
 
Infine un terzo elemento: il gruppo di lavoro del "PAS" – ad oggi – non si è ancora posta la questione di quale sarà il futuro (non solo scolastico) dei figli di quei migranti che non sono riusciti a concretizzare positivamente il loro progetto migratorio. Si tratta di nuclei familiari che avranno davvero poco da offrire ai figli in termini di opportunità e mobilità sociale. Un aspetto che in futuro prossimo potrà diventare davvero preoccupante.

 Â