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Atlantica - Revista de las Artes

Iolanda Pensa e Irene Amodei

Abstract (English)

«Atlantica» is a contemporary art and culture magazine produced by the Centro Atlántico de Arte de Moderno (CAAM) based in Las Palmas de Gran Canaria, in between Europe, Americas and Africa.

 

Abstract (italiano)

«Atlantica» è la rivista d'arte e cultura contemporanea del Centro Atlántico de Arte de Moderno (CAAM) di Las Palmas de Gran Canaria, a cavallo tra Europa, Americhe e Africa.

1 The practice

1.1 Struttura e fasi del progetto

«Atlantica» pubblica il primo numero nell’ottobre 1990, in spagnolo. Con il cambio di vertice del 1992 la rivista diventa un quadrimestrale bilingue (spagnolo-inglese); la veste grafica si modifica lasciando alle immagini un posto fondamentale. Un'altra svolta editoriale avviene con il numero 40 (2004).

1.2 Sede e contesto

L’ubicazione nelle Isole Canarie, a metà dell’Atlantico, è, per così dire, strategica e funzionale all’idea di una rivista che stia a cavallo tra Africa, Europa e Americhe, agendo come facilitatrice nello scambio e nel reciproco aggiornamento. «Sulla rotta della colonizzazione e della de-colonizzazione», commenta Zaya in occasione dei dieci anni della rivista, «Atlantica» è, per sua stessa genesi e ammissione, fiera della sua insularità, dunque orgogliosamente frammentaria, cross-cultural e forward-looking. Questo orizzonte «tri-continentale», questo approccio pluri-territoriale si traduce in un dialogo, in una corrispondenza costante tra realtà peculiari, in un’opzione multi-culturale dove l’integrazione non è un fine e il centro, semplicemente, non esiste.

1.3 Target

«Atlantica» non è una rivista destinata al grande pubblico, ma un mercato di nicchia. Si indirizza e dà voce in modo particolare agli specialisti della cultura contemporanea. Lavora per ampliare i loro orizzonti, ospitando interventi di artisti e riflessioni teoriche a cavallo tra i continenti.

1.4 Metodologia

Dal 1992 «Atlantica» pubblica saggi critici, recensioni, conversazioni, interviste e progetti d’artista. Tra i nomi dei collaboratori figurano scrittori, direttori di riviste, critici d’arte, intellettuali. In ordine sparso: Anders Michelsen, Benjamin Weil, Charles Merewether, Lliliam Llanes, Berta Sichel, Hans Ulrich Obrist, Orlando Britto Jinorio, Ery Camara, Eugenio Valdés Figueroa (dal 1994 co-curatore della Biennale dell’Avana), Simon Njami, Clementine Deliss, Olu Oguibe, Okwui Enwezor, Salah Hassan, Colin Richards, Ruben Gallo, Coco Fusco, Hou Hanru, Clive Kellner, Achille Bonito Oliva, Francesco Bonami, Gerardo Mosquera, Hou Hanru, Rhaseed Araeen, Candice Breitz e Rosa Martínez. Ma anche Bernard Henri-Levi, Slavoj Zizek, Sadie Plant, Ilya Prigogine e Sami Nair.
La vocazione è interdisciplinare. Non solo arte, dunque, ma anche sociologia e filosofia, quando simili discipline consentano di fare luce sulle più recenti e complesse tendenze nel campo dell’arte contemporanea.

Sincretismo, meticciato, elasticità concettuale, attenzione programmatica alle minoranze, di contro alla progressiva standardizzazione culturale e artistica, sono i concetti chiave che «Atlantica» propone e attorno ai quali offre la sua lettura della realtà. Una realtà che si oppone al concetto stesso di un’arte politically correct, e soprattutto, che sfugge, o tenta di sfuggire, a invalsi meccanismi di dominazione e controllo. Slegata dai condizionamenti della terra ferma e libera di fluttuare tra le correnti dell’Oceano, «Atlantica» punta a farsi «ambasciatore» delle attività artistiche ignorate, messe da parte, costrette al silenzio o ai margini, ignorate o bocciate dalle lobbies e dalla propaganda del mainstream. «La discriminazione positiva di cui si fa consapevolmente paladina è un passaggio obbligato, commenta Zaya, nella speranza di essere stati una «terra senza passaporto».

Proposta etica ed estetica si confondono deliberatamente nella presentazione di «Atlantica», il cui proposito, di nuovo nelle parole del suo direttore «non è essero lo strumento che permette di ridefinire un canone, ma moltiplicare i fattori e le cause che non solo rendono la sua riforma possibile, ma denunciano la sua obsolescenza».

Poco attenta a ciò che molti identificherebbero come specificamente europeo (Damian Hirst, Lars von Trier, Christian Boltanski, Bearne Melgard, Inez van Lansweerde, Ivonne Doderer…) o iberico (Pepe Espaliú, Rogelio López Cuenca, Eulalia Valldosera, Juan Carlos Robles, Santiago Sierra, Ana Laura Alaez, Alonso Gil, Txuspo Poyo, Julio Jara, Pep Duran, La Sociedad Anónima, Manolo Quejido…) o rappresentativo dell’Asia e del Medio Oriente (Yasumasa Morimura, Xu Bing, Akita Masami, Chen Zen, Zhang Huan, Shirin Neshat, Mona Hatoum…), «Atlantica» preferisce rivolgersi al Nordamerica e alle realtà afro-americane (Lyle Ashton Harris, Brice Marden, Gary Simmons, Bob Flanagan & Sheree Rose, Andy Warhol, Jack Pierson, Lari Pittman, Simon Attie, Joe Coleman, Gregory Green, Lorna Simpson, Robert Rauschenberg, Philip Johnson, Bob Wilson, Lisa Roberts, Luz Bacher); privilegia gli artisti originari dell’America Latina (Gabriel Orozco, Alfredo Jaar, Meyer Vaisman, Félix González Torres, Antonio Martorell, Liliana Porter, Pepón Osorio, Capelán, Sergio Vega, Teresa Serrano,Jolanda Andrade, Miguel Angel Rios, Milagros de la Torre…), senza trascurare l’importanza crescente di Cuba (Ana Mendieta, José Bedia, Kcho, Luis Gómez, Tonel, Tania Bruguera, Arturo Cuenca, Ernesto Pujol, Carlos Garaicoa…), o del Brasile (Miguel Río Branco, Rossangela Rennó, Ernesto Neto, Ricardo Ribenboim, Eduardo Kac, Edgar de Souza, Ana María Tavares, Rochelle Costi, Laura Lima, Cesar Manrique, Fabiana de Barros, Regina Silveira, ..), o, ovviamente, dell’Africa (Alf Kumalo, Willie Bester, Kendell Geers, Kay Hassan, Iké Udé, Olu Oguibe, Moshekwa Langa, candice Breitz, Billi Bidjocka, Zwelethu Mthetwa, Ynka Shonibare, Touhami Ennadre, Pascale Martine Tayou, rashid Koraichi, Ghada Amer…).
Il n. 40 (2004) segna una svolta, già annunciata nel n. 39 (2004), dal titolo Made in Brasil, una poliedrica panoramica dedicata al Brasile. Cambia il team direttivo, il design (più dinamico, ma meno elegante), il formato (più piccolo) la carta (più spessa e opaca), l’incastro delle due versioni linguistiche (prima separate e adesso accostate in due colonne) e l’approccio editoriale. Una rinascita che si propone «più plurale, più collettiva e meno persionale, meno unilaterale».  La nuova versione di «Atlantica» si confronta con nuove coordinate concettuali: prossimità e distanza, fisico e metafisico sono declinati in rapporto a «spazio urbano e architettura, riflesso e insularità, adolescenza, catastrofe, sconforto e riciclaggio, identità, melting pot, sindrome di Down, turismo e disastri ecologici, femminismo, liturgia, politiche e culture di strada e, anche, critica del criticismo».

1.5 Autori, collaborazioni, finanziamenti e network

Trimestrale del Centro Atlántico de Arte de Moderno (CAAM) di Las Palmas de Gran Canaria, ma dotato di un comitato scientifico ed editoriale indipendente.

Ai primi tre numeri collaborano Nancy Davenport, Barbara Pollak, Arthur C. Danto, Carmela Garc ía, Shoja Azari, José Ferriera, Zwelethu Mthethwa e Penny Siopis.
Il consiglio editoriale cambia costantemente per i primi due anni (Andrés Sánchez Robayna è direttore di due numeri) fino a quando, nel 1992, viene chiamato ad occupare il posto di direttore Antonio Zaya, curatore indipendente ed editore del catalogo della Biennale dell’Havana. Accanto a lui Octavio Zaya, co-direttore di Documenta 11, nella veste di direttore associato, Cristina Ortega (design) e Oscar M. Leo (coordinatore redazionale). Con il cambio di vertice del 1992 la rivista diventa un quadrimestrale bilingue (spagnolo-inglese); la veste grafica si modifica lasciando alle immagini un posto fondamentale.
Dal numero 40 (2004) la rivista è pubblicata dalle Ediciones del Umbral e diretta dalla triade Alicia Chillida, Antonio Zaya e Octavio Zaya.

La rivista riceve attenzione e riconoscimento nei vari forum internazionali; ha relazioni con la Biennale di Dakar, con ARCO, e soprattutto con la Biennale di La Havana  di cui cura e pubblica il catalogo nel 1994 e nel 2000. Segue da vicino anche la Biennale di Johannesburg; durante la seconda edizione del 1997, Octavio Zaya, infatti, braccio destro del direttore, cura il Padiglione Spagnolo ed è responsabile dell’esposizione Black looks, white miths e, con Okwui Enwezor, di Alternatine currents. 

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