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Laboratori didattici del Centro Interculturale

Silvio Remotti

1 In pratica

2 Spunti di riflessione

2.1 Punti di forza

La prospettiva dell'organizzazione
I laboratori didattici del "Centro Interculturale" presentano – secondo Anna Ferrero – almeno quattro rilevanti elementi di forza.
In primo luogo costituiscono un’occasione per far uscire gli studenti dal contesto scolastico e porli in contatto con un servizio cittadino. Un servizio che non è rivolto esclusivamente al mondo della scuola, ma che può essere da loro utilizzato a livello individuale o di gruppi amicali anche per ulteriori iniziative (sia formative, sia culturali: concerti, mostre, eventi). Una finalità – implicita – dei laboratori è infatti proprio quella di presentare ai giovani la struttura del "Centro Interculturale" e tutte le iniziative da esso promosse.
 
Un secondo punto di forza rintracciato dalla responsabile del "Centro Interculturale" è legato agli aspetti “fisici” dei laboratori: gli spazi dove vengono realizzate le attività didattiche non sono concepiti sul modello della tradizionale aula scolastica. Al contrario, sono spazi destrutturati in cui la frontalità viene ridotta al minimo, mentre l’interazione è esplicitamente incoraggiata. Il semplice far disporre la scolaresca in un semicerchio è uno stimolo a un maggiore coinvolgimento e a una partecipazione più attiva. Alcuni laboratori – soprattutto Porte aperte sul Maghreb e Religioni e culture: un dialogo possibile? – fanno dell’arredamento e dell’allestimento dell’aula un elemento di indubbio valore metodologico. Sedersi per terra, su un tappeto, all’interno della ricostruzione di una casa marocchina, fa sì che lo studente si ponga mentalmente in una situazione molto diversa rispetto a quella scolastica.
 
Metodologia
La metodologia proposta dai laboratori rappresenta senza dubbio un elemento importante. Come abbiamo già sottolineato in precedenza, si tratta di una metodologia che punta sull’interattività, su una didattica in cui il gioco di ruolo e la simulazione sono gli strumenti principali. Accanto a ciò è importante che il conduttore del laboratorio utilizzi le conoscenze pregresse degli studenti per realizzare le diverse attività proposte. "Anche se non si tratta di conoscenze obiettive e documentate (spesso sono stereotipi) – ricorda Ferrero – è importante partire da ciò che sanno gli studenti sugli argomenti affrontati dai laboratori. È necessario infatti che si creino spazi di confronto e di discussione tra i ragazzi. L’obiettivo è infatti tentare di de-costruire i pregiudizi senza tuttavia demonizzare il ragazzo". Una volta messi in discussione gli stereotipi, le conoscenze parziali (o distorte), il formatore cerca di fornire conoscenza e informazione, stimolando nel contempo momenti di riflessione e dibattito.

Un quarto punto di forza presente nei laboratori del "Centro Interculturale" è la composizione dei suoi formatori. Come abbiamo già ricordato, su nove conduttori quattro sono di origine straniera. Essi non vanno interpretati come “testimoni” che, per esempio, raccontano a un gruppo classe l’esperienza migratoria. È questa un’iniziativa che viene già realizzata nelle scuole (non di rado si organizzano incontri su temi quali: “la donna”, “il minore straniero”, etc) in cui è chiaramente prevista la presenza del testimone, di chi racconta alla classe la propria storia di vita. I formatori stranieri che collaborano alle attività didattiche del Centro Interculturale non ricoprono questo ruolo. Essi sono persone che svolgono professionalmente l’attività di educatore e/o animatore nei moduli di educazione interculturale. E che per questa ragione sono in una situazione di parità con il corpo docente.

La prospettiva di Interculture Map
Un primo evidente punto di forza presentato dai laboratori didattici del "Centro Interculturale" è indubbiamente riscontrabile nella continuità temporale. Attivi da ormai nove anni, oggi si confermano nell’ambito dell’educazione interculturale torinese, come una delle iniziative più strutturate e consolidate. Soprattutto se si considera il fatto che a ideare e realizzare i laboratori non è un organismo dei Servizi Educativi, ma della Divisione Cultura. E nonostante ciò – grazie al contributo del comitato scientifico e del gruppo di formatori – riesce da anni a offrire al mondo scuola proposte di didattica interculturale di alto livello contenutistico e metodologico.

La metodologia adottata – come già ricordava Ferrero – rappresenta uno degli aspetti di maggior rilievo e interesse: interattività, apprendimento attraverso giochi di ruolo e simulazioni, coinvolgimento emotivo sono gli elementi attorno a cui sono stati progettati i diversi laboratori. Molte delle attività proposte hanno infatti l’obiettivo – più che di fornire conoscenza e informazione approfondite – di de-strutturare stereotipi e/o conoscenze approssimative. Un esempio classico di tale approccio può essere rappresentato dal questionario Se il mondo fosse un villaggio di mille persone… (si veda l’allegato "Alcune attività" riportato in deepening material). Il questionario affronta temi diversi, ma fortemente interconessi tra loro: gli aspetti demografici, linguistici, religiosi della popolazione mondiale; le tematiche della sanità, dell’istruzione, del benessere; gli squilibri economici e il tasso di sviluppo umano. E’ molto raro che il gruppo classe compili correttamente il questionario: la verifica finale, in cui si paragonano le stime fatte dai partecipanti con i dati a disposizione, palesa la scarsa conoscenza che lo studente medio ha del mondo e delle dinamiche socio-economiche che lo governano. Attraverso una simile attività, dunque, si possono ottenere due risultati: de-costruire per l’appunto concezioni errate (e stereotipate) e offrire una conoscenza obiettiva, avvalorata dall’oggettività statistica.
 
L’interattività del role play risulta particolarmente efficace nel lavorare su tematiche quali la tutela dei diritti umani piuttosto che gli squilibri economici globali. Riportiamo ancora in allegato (deepening material) l’attività “Tutti in linea” il cui obiettivo è creare una sorta di “istogramma umano” relativo alle disuguaglianze economiche e all’interdipendenza dei diritti civili, politici, economici e sociali. Il gioco di ruolo "Tutti in linea" agisce sugli aspetti emotivi per riflettere e analizzare la situazione mondiale reale. Il gioco di simulazione – a questo punto – è diventato come lo definisce Dessena, uno strumento pedagogico a tutti gli effetti; in questo caso un dispositivo in grado di illustrare visivamente – ed emotivamente – i temi dello squilibrio Nord-Sud, il non accesso allo stato di benessere, il mancato godimento dei diritti.
 
L’interazione e la simulazione possono riassumersi in un più generale elemento di forza offerto dai laboratori: l’uscire da scuola ed entrare in un luogo (il "Centro Interculturale") in cui si fa ancora “didattica” ma con un approccio più informale, non frontale e strutturato. Trovarsi in un luogo non scolastico, con un formatore/formatrice generalmente giovane e, per questo, in grado di interagire in modo più spontaneo e accattivante con l’adolescente, può sovente risultare un elemento decisivo per trasmettere i contenuti dell’educazione interculturale. Lo stesso arredamento dei laboratori (con oggetti, immagini, strumenti da utilizzare durante le attività) può favorire una maggior partecipazione e coinvolgimento della classe e garantire così una migliore ricettività dei contenuti.

Un ultimo punto che riteniamo importante sottolineare è rappresentato dal laboratorio A Torino io abito il mondo. Come già osservato, si tratta di un percorso introduttivo, o meglio trasversale a tutti gli altri laboratori. Quest’iniziativa oltre a consentire una panoramica generale sugli altri sei laboratori didattici, permette di affrontare le tematiche cardine dell’educazione interculturale: dalle migrazioni al dialogo interreligioso, dal mercato globale ai diritti umani, dalla tutela delle minoranze al concetto di cittadinanza.

La prospettiva dell'organizzazione
L’elemento di maggior criticità individuato da Anna Ferrero è la scarsa disponibilità di tempo per realizzare solidi percorsi di educazione interculturale. (I laboratori hanno infatti una durata massima di sei ore, distribuite su due incontri). Il "Centro Interculturale", attraverso le sue proposte didattiche – afferma Ferrero - "ha il compito di lanciare degli input, degli stimoli a livello metodologico e a livello contenutistico. È poi compito dell’insegnate – se interessato – approfondire per proprio conto in classe alcuni argomenti, ideare e realizzare specifici percorsi tematici". I laboratori didattici non possono essere esaustivi: in sole sei ore non si ha modo di analizzare – in modo diretto e partecipato – i vari aspetti, ad esempio, del mercato globale, del diritto internazionale, delle migrazioni, etc. "Non ci sentiamo legittimati ad affermare che una classe che abbia svolto il laboratorio sui diritti umani possegga realmente una conoscenza approfondita sull’argomento. Questo è scontato".

Riassumendo dunque: gli elementi di maggior debolezza dell’iniziativa vanno individuati in due aspetti. In primo luogo la comprensibile non esaustività dei laboratori. In secondo luogo, il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi (ad esempio una conoscenza meno superficiale dei flussi migratori) non può dipendere esclusivamente dal lavoro svolto dal "Centro Interculturale". Accanto ad esso – come ricordava Ferrero – è necessaria la motivazione e l’interesse dell’insegnante nel realizzare – questa volta a scuola – attività inerenti l’argomento. I laboratori rappresentano sotto questa prospettiva "un’ipotesi di lavoro, uno stimolo alla progettazione didattica del corpo docente".

Altro elemento critico, riferito dalla responsabile, è il grado di partecipazione delle scuole alle offerte didattiche del "Centro Interculturale". Se da un lato troviamo istituti scolastici che ormai da anni – costantemente – usufruiscono dei laboratori, dall’altro vi sono realtà scolastiche (i licei classici soprattutto) che si dimostrano scarsamente interessati all’educazione interculturale. Il "Centro Interculturale" – riflette Ferrero - "non ha i mezzi economici per coinvolgere tutte le scuole della città. E oltretutto mancherebbero le risorse per proporre queste iniziative didattiche all’interno delle scuole (al di là del fatto che così facendo si andrebbero a inficiare punti di forza quali “l’ambiente destrutturato”, “l’interattività”, etc)". Ciò non toglie – ammette la responsabile – che "forse si potrebbero ideare alcuni moduli in cui la metodologia adottata nei laboratori sia esportabile e adattabile anche all’interno delle aule scolastiche". Tuttavia se il "Centro Interculturale" entrasse direttamente nel mondo della scuola – questo è importante sottolinearlo – si rivelerebbe scorretto e sleale nei confronti di quelle associazioni ed enti di formazione che vivono dei progetti didattici condotti nelle scuole e finanziati dalle varie direzioni didattiche. Il "Centro Interculturale" – conclude Anna Ferrero – "ha un ruolo istituzionale e di “timone”: fornire indicazioni, riflessioni, metodologie sul tema dell’educazione interculturale. E ciò è possibile perché si ha a disposizione un comitato scientifico competente, produttivo e un gruppo di formatori esperto e attivo oramai da diversi anni". 

La prospettiva di Interculture Map
La criticità più evidente che ci sentiamo di segnalare ai laboratori del "Centro Interculturale" è il rischio di sporadicità dell’iniziativa. Le sei ore di attività laboratoriali, distribuite su due incontri, non garantiscono – da sole – il raggiungimento degli obiettivi formativi. Il laboratorio interculturale – come ha ricordato Ferrero – può semmai costituire uno spunto. Offrire, cioè, un modello metodologico di riferimento per un eventuale percorso di approfondimento ideato autonomamente dal corpo docente. Detto in altri termini: perché un laboratorio sia concretamente efficace necessità di un ulteriore lavoro condotto nelle scuole. Il tema dei diritti umani, ad esempio, presenta innumerevoli sfaccettature e tagli di lettura: due soli laboratori possono rappresentare un’ottima introduzione all’argomento, ma di sicuro non possono soddisfare la complessità del tema proposto.

Un secondo punto di debolezza riguarda il grado di partecipazione delle scuole torinesi alle offerte didattiche del "Centro Interculturale". Se da un lato troviamo insegnanti e presidi che hanno da tempo recepito l’importanza dell’educazione interculturale (interpretabile come una sorta di nuova “educazione civica”), dall’altro lato esistono realtà scolastiche – generalmente di prim’ordine – ancora del tutto estranee alle tematiche proposte dai laboratori. Riteniamo allora importante escogitare strategie comunicative più efficaci per coinvolgere un numero maggiore di istituti scolastici. Sotto quest’ottica potrebbe rivelarsi utile, per esempio, inviare in quelle scuole che non usufruiscono ancora del "Centro Interculturale" un conduttore di laboratorio. Questi avrebbe cosi la possibilità di presentare direttamente al corpo docente le proposte didattiche, le metodologie, i laboratori. Va tuttavia ricordato che annualmente il "Centro Interculturale" invia a tutte le scuole della città il catalogo delle sue attività di formazione. Ma a fianco a ciò una “presentazione de visu” – sicuramente più dettagliata e organica – si rivelerebbe una strategia comunicativa ancor più valida. Potrebbe, in altri termini, suscitare un maggior interesse e disponibilità tra presidi e insegnanti.
 
Un ultimo elemento di debolezza – già rammentato in ogni caso da Ferrero – è l’attuale mancanza di un modulo laboratoriale da “esportare” direttamente nelle scuole. È importante che siano le classi a raggiungere il "Centro Interculturale" (proprio per mantenere vivi quei punti di forza quali l’interattività e la destrutturazione di ambienti e ruoli), ma può anche essere utile progettare interventi formativi ad hoc (magari di due sole ore), esterni alla struttura del "Centro Interculturale". Ciò – indirettamente – potrebbe anche favorire una maggiore partecipazione delle scuole alle attività didattiche realizzate presso il "Centro Interculturale".

  
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