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Provaci ancora, Sam!

Silvio Remotti

Abstract (English)

"Provaci ancora, Sam!" has been carried out in the city of Turin (by voluntary associations, Educational Services, Social Services, schools) since 1989. The initiative’s objectives include contrasting school truancy and dropping out, allowing the young people to recover their studies courses and improving the socialization in multicultural contexts. The project works inside and outside scholastic structure; for this reason the contribution of juvenile and aggregative associations has been a key factor to success. In the last five years the project has been applied above all for young migrants.

 

Abstract (italiano)

"Provaci ancora, Sam!" è un progetto attivo dal 1989, realizzato dalla città di Torino (associazioni di volontariato, Servizi Educativi, Servizi Sociali, scuole). Gli obiettivi dell'iniziativa sono contrastare la dispersione scolastica, favorire il reinserimento e recupero, stimolare la socializzazione in contesti multiculturali. Il progetto opera sia all'interno che all'esterno della struttura scolastica; per questo motivo il contributo delle associazioni giovanili di volontariato risulta un fattore decisivo. Negli ultimi cinque anni il progetto si è rivolto in prevalenza ai giovani immigrati.

1 In pratica

Il progetto "Provaci ancora, Sam!" ("PAS") nasce a Torino nel 1989 con lo scopo di prevenire la dispersione scolastica nelle scuole medie inferiori e di accompagnare i ragazzi al conseguimento della licenza di terza media. Il progetto si dirama in due specifici percorsi:

  • Provaci ancora, Sam! – Prevenzione;
  • Provaci ancora, Sam! – Recupero.


Il primo coinvolge i ragazzi del primo anno delle scuole medie inferiori, il secondo riguarda i ragazzi che hanno compiuto 15 anni e sono in forte ritardo rispetto al normale percorso scolastico. In entrambi i casi il progetto prevede la collaborazione tra le scuole e diverse associazioni di volontariato presenti sul territorio. Gli attori coinvolti nella progettazione e nell’attuazione del "PAS" sono i seguenti:


  • Comune di Torino – Divisione Servizi Sociali;
  • Comune di Torino – Provveditorato agli studi;
  • Scuole medie inferiori che aderiscono al progetto;
  • C.T.P. (Centri territoriali per l’educazione permanente);
  • Associazioni laiche e/o cattoliche di volontariato;
  • Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo.


Il "PAS" rappresenta un’attuazione dell’art. 139 del D. lgs 112/98 che attribuisce ai comuni competenze relative a “interventi di prevenzione della dispersione scolastica e di educazione alla salute”. Esso – come afferma Carla Bonino, responsabile della Divisione Servizi Educativi del Comune di Torino - "si basa su di un’accezione ampia del concetto di dispersione che si combina con quella del disagio; si tratta di difficoltà di adattamento relazionale e culturale, che si concretizzano in fenomeni di isolamento, senso di inadeguatezza e disorientamento di fronte agli obbiettivi scolastici. Le cause che provocano dispersione riguardano sia il mondo della scuola sia i luoghi di vita dello studente. La prevenzione e il recupero si fanno solo se i due mondi si avvicinano".
La finalità generale del progetto è dunque creare integrazione tra realtà scolastica e realtà extrascolastica, aiutando i due mondi a dialogare.
Lavorando all’interno delle scuole e con le scuole, il progetto ha potuto porsi come recettore attivo delle complessità a cui la scuola si trova a dover far fronte e da ciò sono nate alcune ramificazioni del progetto: dall’intervento sul bullismo (Progetto “Ti ascolto”) all’intervento di sostegno dell’integrazione dei giovani stranieri (Progetto “Sul tappeto volante”), alla raccolta periodica di dati statistici, strumento importante per individuare i problemi ed impostare gli interventi.
Date queste premesse gli obiettivi specifici che il progetto "PAS" intende raggiungere possono sintetizzarsi nei seguenti punti:


  • ridurre la dispersione scolastica;
  • garantire l’inclusione sociale;
  • integrare il ruolo educativo della famiglia e della scuola offrendo ai giovani strumenti concreti (persone, servizi, strutture) per promuovere il successo formativo;
  • intervenire sui problemi comportamentali, relazionali, emotivi e/o cognitivi che portano a difficoltà di apprendimento, che non possono essere condotti all’handicap certificabile;
  • favorire percorsi sociali per l’integrazione dei minori stranieri.

Per quanto riguarda invece gli obiettivi educativo-formativo si individuano:

  • raggiungimento della licenza media;
  • orientamento e accompagnamento formativo/lavorativo;
  • stimolo alla progettualità individuale;
  • valorizzazione delle capacità individuali;
  • uso positivo del territorio;
  • inserimento nelle iniziative dell’associazionismo (doposcuola, attività ricreative e sportive).


Nel suo insieme, l’iniziativa è finanziata dalla Compagnia di San Paolo, dal Comune di Torino, dal M.I.U.R. e dalle scuole autonome che aderendo al progetto si impegnano a curare la programmazione e la verifica delle azioni avviate.

1.2 Storia: come nasce e come si sviluppa l’iniziativa

"Il 4 novembre 1989 alcuni tra i maggiori quotidiani italiani pubblicano una notizia sconcertante: un ragazzo appena quattordicenne era stato trovato in coma da overdose presso i Giardini Reali di Torino, nel cuore della città, su una panchina". Questa notizia sollecitò una nuova analisi del disagio giovanile e delle modalità d’intervento dentro e fuori la scuola, poiché i cosiddetti ragazzi “difficili” stavano cambiando negli atteggiamenti e nei comportamenti sociali.
Da questo avvenimento nacque nella città di Torino il primo “Progetto contro la dispersione scolastica”, conosciuto con il nome “Recupero terza media”. Il progetto venne attuato in una delle zone più problematiche di Torino: il quartiere Vanchiglia. Qui si costituì un gruppo di lavoro per affrontare le situazioni di emergenza. Si organizzò così un censimento dei ragazzi che avevano abbandonato la scuola del quartiere allo scopo di offrire loro una nuova chance: prepararli ad affrontare – da privatisti – l’esame di licenza media.

Il Comune di Torino mise a disposizione alcuni locali della settima Circoscrizione per svolgere le lezioni. I “professori” erano giovani volontari provenienti dal mondo dell’associazionismo, la loro età non superava i ventiquattro anni. Ogni ragazzo seguito doveva sostenere l’esame nella scuola di provenienza, quella stessa in cui era stato bocciato una o più volte. Dopo il primo anno la voce si era sparsa nel quartiere: molti ragazzi volevano iscriversi alla “scuoletta”, come loro stessi la chiamavano.
A partire dal secondo anno, alcuni volontari, furono sostituiti da insegnanti di scuola media o superiore ormai in pensione o che mettono a disposizione il loro giorno libero.
Durante il terzo anno, (1992/93), il progetto “Recupero Terza Media” riceve i primi finanziamenti. A erogarli erano la Circoscrizione 5 e la Circoscrizione 7. Nell’anno scolastico successivo il progetto si allargò ancora: aderirono altre tre circoscrizioni e i rispettivi Servizi Sociali di territorio. Nello stesso anno entrava a far parte del progetto come importante finanziatore anche l’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo di Torino. E l’Assessorato all’Istruzione del Comune deliberava di mettere a disposizione alcuni percorsi extrascolastici (laboratori di attività integrative) e un soggiorno in montagna. Centrale, a quel punto, diventava l’azione di associazioni laiche e/o cattoliche per completare il lavoro di recupero scolastico caratterizzandolo anche socialmente.
L’anno successivo fu quello della svolta: in accordo con il Provveditore, attraverso una scuola media disponibile, veniva presentata al Ministero la richiesta di ottenere quattro insegnanti stabilmente distaccati. A conclusione dell’anno scolastico fu organizzata una festa a Palazzo Civico con i ragazzi e le famiglie alla presenza del Sindaco.
Dal 1996/97 i ragazzi non dovevano più sostenere l’esame da privatisti, sebbene le lezioni non si svolgessero a scuola, ma in locali messi a disposizione da circoscrizioni e parrocchie. Il progetto “Recupero Terza Media” venne ribattezzato “Provaci ancora, Sam!”.

L’esperienza procedette così per altri due anni. Nel frattempo furono istituiti i C.T.P. (Centro Territoriale per l’educazione Permanente), aperti ai ragazzi dai 15 anni in su. Nel corso dell’anno scolastico 1998/99 vennero inseriti i primi ragazzi in due C.T.P. (ambienti meno informali e più “scolastici”), senza tuttavia chiudere l’esperienza della “scuoletta”, in modo da valutare parallelamente l’efficacia delle due tipologie di intervento.
Nel 1999/2000 si resero disponibili altri due C.T.P.: il nuovo modello di intervento si rafforzava dimostrandosi valido per quei ragazzi che – pur avendo avuto un’esperienza scolastica negativa – non dimostrano una grave avversione all’ambiente scolastico. Per loro il ritorno a scuola divenne un’occasione per rientrare in un circuito scolastico regolare con un progetto individuale, ma in un contesto per tutti.
Dal 2000/01 si attivò la versione “preventiva” del "PAS". L’obiettivo consisteva nel limitare il manifestarsi e il consolidarsi della dispersione scolastica.
Nell’anno 2004 il progetto conosceva l’ultima evoluzione: fu firmato un protocollo d’intesa tra il Comune, l’Ufficio Pio e la Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo e le agenzie di formazione professionale presso le quali alcuni ragazzi proseguono la propria formazione prima di entrare nel mondo del lavoro.

La collaborazione tra Istituzioni e diverse realtà educative ha favorito la creazione di una rete funzionale all’inserimento sul piano relazionale nella scuola, e su quello sociale nel territorio. I servizi socio-educativi del Comune hanno svolto l’azione di integrazione e mediazione tra la visione della scuola (legata ai risultati prettamente scolastici) e quella delle associazioni (che favoriscono l’aspetto del coinvolgimento emotivo e sociale).
Come avremo modo di vedere più avanti nel caso studio, l’importanza del terzo settore – rappresentato dall’intervento delle associazioni nella sua complementarietà rispetto a quello del mondo scolastico – costituisce il punto di forza principale dell’intero progetto. Ma non sarebbe tale – ovviamente – se non avesse il supporto finanziario e gestionale degli altri attori della rete.

1.3 I ragazzi inseriti nel progetto "PAS"

Durante i primi anni del progetto, i ragazzi inseriti nelle “scuolette per i drop out” erano tutto sommato pochi, esclusivamente italiani, prevalentemente maschi, pluribocciati più per ragioni disciplinari che per scarso profitto, appartenenti a bassi ceti sociali, con famiglie spesso segnalate ai servizi sociali, e non di rado, alla questura. Si trattava dunque di gruppi omogenei, con origini, linguaggi e problematiche simili. Le soluzioni individuate per loro soddisfacevano, nel complesso, tutte le componenti del gruppo.
Negli ultimi cinque anni, invece, la presenza di ragazzi stranieri è considerevolmente aumentata: il numero complessivo dei minori iscritti nei C.T.P. e inseriti all’interno del progetto "PAS" raggiungono nel 2005 quota 870. Di questi, 95 sono italiani, 775 stranieri.

La scelta dei ragazzi e delle ragazze da inserire nel "PAS" avviene in base a criteri definiti dal gruppo di lavoro (insegnanti, referenti dei Servizi Educativi e dei Servizi Sociali, operatore delle associazioni di volontariato) per favorire le situazioni di maggior disagio, ma che consentano anche di avere una probabilità di riuscita delle azioni del progetto. Se in corso d’anno il minore interrompe la frequenza, vengono messe in atto tutte le strategie di ricerca e di riaggancio possibile. Con gli stranieri questo è particolarmente difficile in quanto, spesso, le condizioni abitative sono molto precarie e incerte: in alcuni casi i ragazzi “spariscono” e riappaiono in altre zone della città, oppure se ne hanno notizie dalle forze dell’ordine.
Per quanto riguarda la differenza di genere, al 2005, troviamo la seguente composizione: le ragazze inserite nel progetto raggiungono quota 379, i ragazzi quota 491.
(L'allegato "Il progetto "PAS" nei CTP", consultabile nei Deepening material  offre il quadro statistico).
La presenza italiana – come si è già osservato - è diventata nell’arco di soli cinque anni, decisamente minoritaria. Ciò ha determinato – come riferisce uno funzionario dei Servizi Educativi, Barbara Rivoira – "una profonda modifica degli equilibri e delle regole. Appare forte l’elemento razzismo nel rapporto tra i ragazzi e la rivalità tra le diverse etnie. Si sono evidenziati problemi di convivenza e sono emerse esigenze scolastiche così diverse da rimettere in gioco gli obiettivi e i metodi didattici, rendendo così più complessa la gestione dei ragazzi. L’inserimento di molte ragazze straniere ha contribuito a cambiare i profili relazionali del gruppo. Ed è stato dunque necessario provvedere ad altre forme di accoglienza, escogitare nuove proposte didattiche, educative, sociali, culturali. In alcuni casi è diventato indispensabile coinvolgere la figura del mediatore interculturale".

Perché inserire i minori stranieri nel "Provaci ancora, Sam?" Risponde Rivoira: "Il Sam nasce per gli ultimi: quelli conosciuti dai servizi sociali, dalla questura, provenienti da famiglie multiproblematiche. Una volta gli ultimi erano i figli degli immigrati meridionali. Ora il panorama è cambiato: la dispersione scolastica è diventato un fenomeno trasversale che talvolta colpisce anche le classi più agiate. Non esiste più Nord-Sud. Il “male di scuola” investe tutti e i fallimenti scolastici si sono allargati anche ad altri strati della popolazione. E in questo allargamento sono entrati anche i figli degli stranieri".
La realtà in cui la presenza di minori stranieri si fa preponderante è indubbiamente quella dei C.T.P. Nella città di Torino se ne contano nove. Tuttavia, a fianco di questi istituti, vi sono scuole medie in cui i figli degli immigrati raggiungono quote davvero significative. Per esempio, alla scuola media Croce-Morelli, situata nella zona di Porta Palazzo, da sempre quartiere degli immigrati di Torino, si contano ventidue nazioni rappresentate. E il numero degli alunni stranieri raggiunge il 50% del totale. La giornalista de “La Stampa”, Maria Teresa Martinengo, in un articolo del 23 marzo 2005, intervista il preside Onofrio Di Giovanni: "Ogni anno abbiamo un gran movimento di studenti legato agli arrivi dall’estero e alle assegnazioni degli alloggi popolari. Iscriviamo, ad anno iniziato, 50-60 ragazzi stranieri appena arrivati (…). Capita spesso che i ragazzi non italiani accettati qui siano domiciliati fuori dal territorio: abitano anche in quartieri lontani, ma là le scuole non li prendono. Di loro non si preoccupano (…). Molti sono cresciuti qui, altri sono andati a scuola nel paese d’origine, altri ancora – un numero significativo di marocchini e cinesi – in un’aula non hanno mai messo piede. Su 383 iscritti stranieri, ben 167 sono privi del permesso di soggiorno, tra loro numerosi ragazzi marocchini “non accompagnati” (…). Le assenze ingiustificate sono più numerose tra i ragazzi italiani: se uno straniero non è presente, di solito ha motivi seri. Capita che le ragazzine debbano badare ai fratelli più piccoli. Su 270 che finiranno la III, 136 andranno agli istituti professionali, 61 agli Itis, 37 allo scientifico, 12 al classico. La scuola mette in piedi progetti – con l’aiuto di Comune, Provincia, Compagnia San Paolo – che servano la fascia più debole: alfabetizzazione intensiva, laboratorio per la dislessia, "PAS" (…). Molta importanza hanno i programmi dedicati all’intercultura e all’identità, rivolti a tutti".

La Croce-Morelli si trova – come afferma nell’articolo della Martinengo il presidente della Circoscrizione 7, Luciano Barberis – "in una zona disagiata da sempre, con case di ringhiera decrepite dove vanno a vivere gli ultimi arrivati, dove restano i poveri, italiani e stranieri (…). Qui dobbiamo confrontarci con problemi di bullismo e microcriminalità “iniziale”. Prevenzione e recupero sono le parole d’ordine. Nella Circoscrizione sono 80 i minori seguiti dal progetto "PAS" Alla Croce-Morelli si è registrato un caso esemplare di due fratelli marocchini: 12 anni uno, l’altro maggiorenne. Il primo, allievo modello, pochi giorni fa ha consegnato in direzione un cellulare ultimo modello e un mazzo di chiavi trovati in bagno. Il secondo è in carcere".
Ma chi sono realmente i ragazzi stranieri seguiti dal "PAS"? Quali le loro problematiche? E quali le loro potenzialità? A rispondere è l'interessante relazione "Il volontariato civile con i minori stranieri" di Federica Daidone (consultabile in Deepening material ), impegnata come volontaria presso la scuola media Viotti di Torino. L’attività svolta dalla volontaria si è basata sui laboratori di alfabetizzazione linguistica, rivolti agli studenti stranieri recentemente inseriti nel contesto scolastico italiano.
Il minore straniero coinvolto nel progetto "PAS" - come osservava Daidone - è un adolescente che, in genere, presenta un iniziale atteggiamento di diffidenza nei confronti del mondo esterno: quello della scuola, ma anche quello dei propri pari. I laboratori di alfabetizzazione sono spesso vissuti con una sorta di forte “attaccamento” affettivo: imparare la nuova lingua è l’unico strumento per esprimer-si, per uscire dalla solitudine e dall’isolamento. (Si consideri che molto spesso per questi ragazzi, e soprattutto per le ragazze, il contesto scolastico è l’unico luogo di socializzazione da essi frequentato, al di fuori di quello domestico).
In molti casi, il minore straniero mostra un grado di maturità e di sensibilità maggiore rispetto al coetaneo italiano: conosce sulla propria pelle il significato della “diversità”, è stato costretto a lasciare un mondo di riferimento e una lingua per seguire la propria famiglia o per cercare – da solo – qui in Italia, migliori condizioni di vita. E nel nuovo paese è chiamato a integrarsi velocemente, a bruciare le tappe, a volte, a conoscere il concetto di “clandestinità” e tutto ciò che ne deriva.

Nel mio lavoro di educatore presso il C.T.P. Parini, ho potuto constatare – come anche Daidone efficacemente sottolineava – “la grande carica per riuscire”, per affermarsi, partendo da una condizione di forte svantaggio. Nell’anno scolastico 2005/06 ho seguito, con un’altra educatrice, il modulo relativo all’insegnamento della matematica per il PAS-Recupero. Quello che a noi educatori stupiva in modo particolare, era l’entusiasmo con cui venivano svolti gli esercizi e la curiosità di trovare strade alternative per risolvere un problema di geometria. Negli occhi di quei ragazzi, che in orario serale frequentavano il "PAS", leggevamo il bisogno di ricevere un riconoscimento, un apprezzamento – non tanto per la correttezza dell’esercizio – ma per la loro persona.
I minori “non accompagnati” inseriti nel "PAS" – nella stragrande maggioranza dei casi marocchini – manifestano un’evidente chiusura nei confronti del mondo scuola e, in generale, del nuovo paese. Parallelamente a ciò, però, sono alla ricerca di persone – meglio se giovani – a cui far riferimento, con le quali potersi raccontare.
I gruppi dei moduli del "PAS" – l’abbiamo visto – sono, generalmente, eterogenei per cultura e paesi di provenienza. L’eterogeneità in alcune circostanze ha causato momenti di tensione che possono sfociare anche in comportamenti violenti. Ma in alcuni casi, ragazzi provenienti da paesi diversi, hanno instaurato sinceri legami d’amicizia.

Parlare del paese d’origine è sempre un argomento delicato: ad alcuni ragazzi – è palese – non piace raccontare la loro terra, quasi li infastidisce; altri, invece, appaiono più sereni, entusiasti di usare le postazioni internet per mostrare la loro città e la loro gente.
In generale – come riferisce Barbara Rivoira – "i minori stranieri inseriti nel progetto "PAS", sono adolescenti animanti da forti aspettative ed entusiasmo. Quello di cui hanno fortemente bisogno è nutrire il loro futuro con azioni concrete, immediatamente tangibili". Lo stimolo a progettare, a progettar-si è il messaggio che il "PAS" intende trasmettere ai ragazzi. Diventa allora fondamentale – e questo è davvero l’obiettivo principale del progetto – offrire loro “continuità”, su almeno tre diversi aspetti.

  • Continuità tra contesto scolastico ed extrascolastico: doposcuola, attività socializzanti fuori scuola, uso positivo del territorio, inserimento nelle iniziative proposte dall’associazioni del "PAS".
  • Continuità di formazione e progettualità: orientamento e accompagnamento alla formazione professionale o al proseguimento degli studi. 
  • Continuità relazionale: mantenimento, tramite le associazioni, dei contatti con i ragazzi anche negli anni successivi al "PAS".

1.4 Le azioni proposte dal "PAS"

Il progetto "PAS" è stato pensato per contrastare la dispersione scolastica nella scuola dell’obbligo. Il fenomeno del drop out – sostiene Rivoira – "nasconde situazioni diverse: “i cacciati” che la scuola allontana perché causano difficoltà alla struttura; “i disaffiliati” che non provano alcun interesse per la scuola e non desiderano essere in contatto con essa; “i deboli” privi di strumenti culturali e di apprendimento per completare gli studi; “i capaci” con capacità intellettive per affrontare la scuola, ma che mancano di altre competenze di natura emotiva e sociale". Le condizioni familiari economiche incidono ancora fortemente sull’iter scolastico sia nella scelta degli indirizzi sia nei risultati. La dispersione non è tuttavia conseguenza diretta di povertà e di emarginazione. Ci sono forme di disagio in assenza di situazioni socio-economiche critiche. La criticità sta piuttosto nella difficoltà a creare relazioni positive (divisioni familiari che si riflettono sui rapporti, debolezza del ruolo genitoriali) e nella cultura familiare.
Gli interventi del "PAS" si articolano in:

  • Azioni di Prevenzione (primaria e secondaria);
  • Azioni di Recupero e Formative. 


Azioni di Prevenzione
Il fenomeno del drop out può comparire già nel primo anno di scuola media, quando si manifestano forme di disagio che preludono ad una successiva dispersione. Per ridurre tale disagio e mantenere nel circuito formativo ragazzi in difficoltà (ad esempio i ragazzi di immigrazione recente), il "PAS" ha messo a punto di interventi di prevenzione (primaria e secondaria).


  • La Prevenzione primaria articola l’attività in osservazione della classe, analisi dei casi a rischio, progettazione delle attività di supporto e integrazione, verifica in itinere e finale. Prevenzione primaria significa prevenire bocciature, ritiri, risultati scadenti.
  • La Prevenzione secondaria si attua nei C.T.P. e prevede attività di accoglienza e costruzione della relazione con il minore per favorire l’espressione delle sue motivazioni, interessi e attitudini. Definizione del percorso formativo individualizzato, costituito dall’acquisizione delle abilità di base, dalle attività integrative, dall’orientamento scolastico e professionale e accompagnamento in uscita. La prevenzione secondaria prevede anche attività extrascolastiche presso associazioni o spazi messi a disposizione dalle circoscrizioni.


Azioni di Recupero e Formative
Si articolano in:


  • Attività ordinarie: in orario di lezione si svolgono l’affiancamento degli insegnanti nella attività didattiche curriculari, laboratori creativi collegati con le discipline scolastiche, attività di recupero a piccoli gruppi. Fuori orario di lezione sono previste attività di doposcuola.
  • Attività di formazione rivolte a docenti, volontari ed educatori dei Servizi Sociali: gli ambiti di intervento sono quelle dell’area matematica e della scrittura creativa. La formazione ha intrecciato aspetti legati ai problemi socio-relazionali e aspetti connessi ai processi di apprendimento. L’obiettivo è quello di far sperimentare ai partecipanti come gli aspetti emotivi e relazionali incidano fortemente sull’apprendimento, e come una didattica efficace aumenti la motivazione al lavoro, generi autostima e migliori le relazioni interpersonali.
  • Attività orientative e di accompagnamento all’occupabilità: il percorso si struttura avvalendosi dell’orientatore del COSP (Centro per l’Orientamento Scolastico e Professionale), dei tutor del C.T.P., dei volontari dell’associazione, degli educatori del territorio. Gli strumenti adottati (colloqui e test attitudinali) vengono riformulati sulla base delle caratteristiche dei ragazzi e collocati in fasi strategiche dell’anno scolastico. I colloqui hanno la funzione di ricostruire i passaggi significativi nella storia scolastica e/o professionale. Si inizia inoltre a mettere in luce l’immaginario dei ragazzi sul proprio futuro. I test attitudinali permettono di evidenziare punti di forza e debolezza nelle diverse aree di pensiero. La fase di avvicinamento al lavoro è gestita dai volontari delle associazioni che organizzano visiti guidate in alcuni Centri di Formazione Professionale, permettendo un confronto diretto con le tecnologie. Dal 2005 è stata anche fatta l’esperienza dei “mini stage”: due o tre giorni da trascorrere presso un Centro di Formazione.
  • Attività di bilancio delle competenze e di riconoscimento dei crediti: sono svolte all’inizio dell’anno scolastico tramite test d’ingresso (soprattutto per gli stranieri che non hanno ottenuto il riconoscimento del titolo di studio o che hanno una scarsa conoscenza dell’Italiano L2). Le attività si basano su accoglienza, conoscenza, colloqui individuali che consento l’espressione delle competenze trasversali e specifiche possedute dai ragazzi.
  • Attività tese al benessere: la promozione dell’agio va nella doppia direzione della scuola e del sociale. I due aspetti si integrano e lo strumento di collegamento è dato dall’intervento delle associazioni di territorio. Ogni associazione propone, secondo la propria vocazione (sportiva, culturale, aggregativa), iniziative che rispondono alle finalità dello stare insieme e del conoscere le potenzialità positive del territorio. Tra le attività proposte dalle associazioni vi sono: corsi di lingua italiana L2, doposcuola, laboratori sportivi, espressivi, artistici, attività di aggregazione sulla strada, animazione.
  • Attività nei confronti delle famiglie e patti formativi: le famiglie continuano a essere l’anello debole del progetto. A lungo sono state deliberatamente escluse in quanto si cercava di dare rilevanza al protagonismo dei ragazzi facendoli entrare da soli nei processi decisionali che li riguardavano. Oggi – fatta eccezione della parte relativa al protagonismo – si ritiene utile richiamare in causa la famiglia: si richiede, ad esempio, la presenza dei genitori all’atto di iscrizione e vengono svolti dei colloqui anche con loro.
  • Attività di tutoraggio: le scuole inserite nella Prevenzione primaria o secondaria hanno un referente dei Servizi educativi che svolge il ruolo di tutoraggio costante in corso d’anno e mette in rete le esperienze significative per le progettazioni future.

1.5 Criteri e principi metodologici

La dispersione scolastica – afferma Rivoira nel testo “Ricomincio da me” - "non è un fenomeno univoco, ma una condizione frutto di più cause che riguardano il dentro e il fuori della scuola. Spesso infatti il luogo in cui si verifica la dispersione ne è anche generatore, e nello stesso tempo il disagio dello stare a scuola si misura con problemi specifici di apprendimento, assunzione di comportamenti problematici e difficoltà di relazione, tensioni emotive di origine familiare, impossibilità a vivere esperienze socializzanti con i pari". Il principio metodologico da cui prende avvio il "PAS" è quello dell’osservare per conoscere, pratica, questa, assolutamente necessaria. Anche se è in qualche modo possibile organizzare una tipologia dei cosiddetti “ragazzi a rischio” (o già in situazione di dispersione), è importante lavorare sull’unicità dell’adolescente, in nome di "una personalizzazione o individualizzazione dei percorsi e delle relazioni educative". Questo è l’elemento base perché il ragazzo si veda riconosciuto nelle sue specifiche esigenze e possa intraprendere un percorso di autentica crescita (scolastica, professionale, umana). Il metodo dell’"osservazione partecipata" è sembrato dunque il più coerente per acquisire gli elementi di conoscenza del ragazzo.
 
Un altro elemento che caratterizza la metodologia "PAS" riguarda la capacità di "scindere i problemi legati all’apprendimento dai problemi legati alla relazione. Scindere significa saperli distinguere per non confonderli, non certo per trattarli separatamente pensando che l’uno non condizioni l’altro!". Il gruppo di lavoro "PAS" ha quindi indagato gli studi riguardanti l’intelligenza emotiva e le strategie di apprendimento inserite in un contesto che sostenga il percorso di costruzione identitaria dei ragazzi.
L’aspetto dell’eterogeneità ha poi rappresentato un altro importante criterio metodologico del "PAS". La stessa struttura del progetto è basata sulla compresenza di soggetti e attori tra loro eterogenei. Si è dunque costituita una partnership che vede la concorrenza del pubblico e del privato, con la valorizzazione del contributo di tutti verso un unico fine, ciascuno con la propria specificità, competenze, vincoli e gradi di libertà. Il "PAS" mette a disposizione dei ragazzi diverse opportunità:

  • Scuola: l’aspetto didattico;
  • Servizi: l’aspetto socio-educativo;
  • Associazioni: l’aspetto delle relazioni extrascolastiche;
  • Entri privati: competenze organizzativo-manageriali e contributo scientifico.


Il vero elemento innovativo del "PAS" è rappresentato – continua Rivoira - "dalla presenza dei volontari delle associazioni. Tale presenza è motivata da più ragioni, risponde a più esigenze e consente di raggiungere più risultati". La città di Torino, storicamente, è caratterizzata da una spiccata sensibilità sociale che ha generato una cultura di attenzione nei confronti dei soggetti deboli che si concretizza nell’impegno di organizzazioni di volontariato. Lo stesso "PAS" nasce – nel 1989 – su una spinta di impegno volontario, raccogliendo negli anni attorno a sé un numero elevato di persone che intendevano "sia contribuire al progetto di aiuto per i ragazzi in difficoltà scolastiche e sia coinvolgere i giovani in un’esperienza educativa che andasse oltre l’animazione per il tempo libero. Crescere generazioni attente ai bisogni di chi è in difficoltà è uno dei principi di quelle che si chiamano “Città educative”". Infatti, la figura del giovane volontario ha immediatamente palesato tutta la sua importanza per tentare una strada di conciliazione tra i ragazzi in rottura con il mondo degli adulti. Afferma Barbara Rivoira: "oggi li chiamiamo (i giovani volontari) peer educators, oppure fratelli maggiori, rifacendoci alla teoria della Peer Education. Sappiamo che avevamo bisogno di loro per trovare un anello di congiunzione tra i ragazzi in difficoltà, o già in dispersione, e gli insegnanti per provare a stare bene a scuola (…). Gli adolescenti hanno bisogno di qualcuno da imitare e se l’insegnante può essere un ottimo modello adulto, il giovane ha il vantaggio di assomigliare loro per linguaggio, gusti, cultura (competenze musicali, abbigliamento, etc)". Il peer educator può dunque assicurare:


  • percorsi di sostegno emotivo-relazionale per favorire il mantenimento del giovane all’interno dell’ambiente scolastico;
  • interventi integrativi volti a sostenere i percorsi personalizzati costruiti dalla scuola e dai servizi in funzione delle specifiche esigenze del ragazzo.


Il modo di interpretare il ruolo del peer educator dipenda dal singolo giovane: la rigidità di funzioni codificate, cristallizzate, è nel "PAS" sostituita da alcune “linee guida” su ciò che si può fare, quando, dove e che lasciano quindi la libertà di utilizzare le proprie abilità, attitudini, empatie per coinvolgere i ragazzi.


Le professionalità coinvolte nel progetto "PAS" sono attualmente dieci: volontari, insegnanti, coordinatori pedagogici, educatori, coordinatori socio-educativi, esperti in discipline specifiche, orientatori, consulenti didattici, psicologici, assistenti sociali, un coordinatore e un consulente esperto in didattica e psicopedagogia.
L’articolazione dei ruoli e la suddivisione dei compiti avviene in base alle competenze ed è definita nei protocolli d’intesa che ogni anno vengono sottoscritti dai partner e modificati in base all’insorgere di nuove esigenze da parte dei ragazzi, dalla progettualità che può estendere il numero delle collaborazioni necessarie e dalla disponibilità economica degli enti finanziatori. Sono previste differenti modalità di formazione per tutti i soggetti coinvolti nel "PAS" (formazione individuale, di gruppo: piccolo gruppo, gruppo allargato, omogeneo per lungo periodo, omogeneo per tipologia di problema; confronto allargato solo tra operatori, con esperti, ecc). La formazione rivolta agli attori del progetto si basa sul principio metodologico della ricerca-azione con l’obiettivo di sperimentare modelli in contesti normali per intervenire sui principali aspetti della dispersione scolastica. "Dal riconoscimento che esiste uno stretto rapporto tra comportamento problematico e difficoltà di apprendimento (e viceversa) scaturisce la necessità di riservare più attenzione ad alcuni approfondimenti teorici, ad esempio, sui comportamenti aggressivi e sulla necessità di modificare la scuola dall’interno, puntando su innovazioni didattiche e approfondimenti metodologici riguardanti l’insegnamento delle discipline o la gestione di alcuni bisogni speciali".
L'allegato "Le professionalità coinvolte nel PAS" (in Deepening material) presenta i diversi soggetti attivi nel progetto "PAS", le loro funzioni e le loro competenze. 

2 Spunti di riflessione

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